mercoledì 15 febbraio 2017

dolore: come superarlo grazie all'antica ciclità del tempo

Il guerriero e la melagrana 



un mito dell'antichità ci racconta 
come superare il dolore 
riflettendo sulla ciclicità del tempo



Anticamente il mondo era diverso. Gli Dei camminavano sulla terra, accanto agli Uomini, e gli Spiriti della Natura erano tra loro.

Il grande Padre un giorno incontrò la Madre Terra, che dormiva placidamente su di una roccia. Il desiderio di possederla fu tale che ella fu fecondata dal suo seme.

L’essere che entrambi avevano generato era alto e forte, dolce e sensibile: possedeva tutte le qualità del maschile e del femminile, contenendo in se stesso entrambi i principi generatori.

Una tale presenza spaventava tutti, uomini e dei. Era necessario distruggerlo, cancellare per sempre il ricordo di una tale forza. Così gli fu mandato un dio bugiardo ed ingannatore, quanto la vita stessa: dio del vino, dell’ebbrezza, della forza e della gioia.

L’androgino si fece ingannare dal liquido inebriante che gli fu offerto.
Dopo una lunga notte di festeggiamenti, di coppe innalzate agli dei, danze di fanciulle, musica e divertimento, cadde addormentato, vinto dal troppo bere.

E così il dio portò a termine la propria missione. Legò il membro dell’androgino al suo piede con una salda corda. Questi, svegliandosi all’improvviso, strappò dal suo corpo la virilità.

Dal sangue che sgorgò la Terra venne nuovamente fecondata. Ne nacque una pianta meravigliosa: rosso vermiglio i suoi fiori, grandi come corone le sua frutta, cariche di chicchi profumati e succosi. Da quella ferita nacque il melograno.

Il germoglio crebbe e si irrobustì, ed attirò gli sguardi di una giovane ninfa. Ella ne rimase talmente affascinata da fermare i suoi passi per raccoglierne i frutti. Se li pose in seno, inebriata dal loro profumo. Ma, giunta a casa, i semi erano scomparsi, e la ninfa portava in sé una nuova vita. 

Presto avrebbe dato alla luce Attis il bello, il giovane, il forte, di cui tutti conosciamo la storia.





Perché ho scelto questo antico mito per parlarti del dolore?



Se stai leggendo questo post, sei in cerca di risposte, non certo di storielle.

Ne avrai, ma non quelle che ti aspetti, immagino.

Il web è pieno di articoli, scritti da affermati psicologi, su come affrontare un grande dolore, le fasi, cinque più o meno, di elaborazione del lutto.
Non ho intenzione di mettermi a paragone con uno psicologo. Né farò un breve riassunto copia e incolla di ciò che vi è scritto.
Non sono uno psicologo. Sono una scrittrice, o almeno ci provo.


Le risposte, per me, le cerco altrove, nei miti, come in questo caso, o nella sapienza antica.


Da premettere che i miti dell'antichità, in quanto tali, non parlano alla nostra mente razionale, né parlano in modo razionalmente dimostrabile, come potrebbe fare un discorso scientifico. I miti ricorrono ad immagini, segni e simboli, che comunicano direttamente con la nostra creatività e le nostre passioni più remote. Sono espressione di un’intelligenza diversa del mondo e della Natura, di popoli che vivono a stretto contatto con Essa e di Lei sono parte integrante.
Perciò il mito in sé non andrebbe mai spiegato, ma contestualizzato nella cultura di riferimento, semmai.

Ma una spiegazione del perché questa storia è qui, credo di doverla.

Siamo nella Grecia arcaica, ma potremmo essere anche in Frigia, o nella Roma tardo imperiale, in tutti i popoli antichi vi sono miti della rinascita legati al melograno.
Vi si racconta di vita, di passione, di sangue e dolore, di amore e morte, in un intreccio continuo, con un crescendo che ho voluto tagliare, perché la storia di Attis, è ancora più drammatica e cruenta di quella della sua nascita.


È nell’intreccio, la spiegazione, nel susseguirsi continuo di morte che dà vita, vita che giunge alla morte.


La concezione antica, precristiana, viveva il tempo come un alternarsi ritmico/ciclico di situazioni. Grazie alla ciclicità del tempo, tutto si ripete, in una spirale che non ha fine, né inizio, ma ci riporta sempre sulla stessa strada, ci rimette dinanzi sempre le stesse persone, le stesse scelte, gli stessi dilemmi, gli stessi dolori, la stessa tristezza.
Sta a noi riviverla, scegliere, agire diversamente, imparare dal passato a superarla.

È tipico, invece, della mentalità cristiana, vivere un prima ed un dopo: il tempo come linea, spaccata a metà dalla vita terrena del Christòs. 
Nella concezione cristiana c’è una nascita terrena, una rinascita spirituale, con battesimo/cresima, una vita con le sue gioie e i suoi dolori, che porterà alla morte terrena e alla vita dopo la morte. In quest’ottica, il dolore può essere superato solo guardando al futuro eterno. Tutto trova senso nell’aldilà, nel paradiso.
Così il dolore viene vissuto in quanto tale, con l’aiuto della fede in dio, con la speranza che porti frutto nella vita eterna.
La vite che porta frutto viene potata, dice il vangelo, perché porti ancora più frutto.
Il dolore diventa la potatura, cui il cristiano si sottomette per amore di dio, in un ricordo eterno della passione morte e risurrezione, con annessa apoteosi al cielo.

Nella mentalità antica tutto questo non esiste. Esiste un ciclo di ripetizione eterna, qui sulla terra, nella vita di tutti i giorni, nella nostra vita, non nel ricordo di un dio. È il ciclo della morte che porta alla rinascita, della vita che si conclude con la morte, solo per dare ancora vita. 
È un ciclo eterno di trasformazione. 

In questo ciclo, il racconto mitico non è un ricordo. Viene rivissuto ad ogni passaggio di tempo, reimmesso nel ciclo della vita quotidiana, di cui è parte integrante, in quanto tempo sacro che ne scandisce il senso.
In quest’ottica il dolore e la tristezza trovano un nuovo spazio: il sangue viene sparso per dare vita, oggi, qui, ora.


"Quello che non mi uccide mi fortifica." 


Tanto per cambiare, questo è il mio vecchio amico Nietzsche.
La tristezza ed il dolore sofferti, mi aiuteranno a crescere, a migliorare. O semplicemente affineranno i miei sensi all’empatia del dolore altrui, apriranno una nuova porta al mio essere femminile, irrazionale, sensibile, profondo e misterioso. Non è un caso che all’essere androgino fu strappato il membro maschile, perché diventasse una donna e si innamorasse di suo figlio.

Quindi il dolore non si supera. Si vive profondamente, in silenzio, e si trae saggezza da esso, aspettando che dalle ferite germogli una nuova speranza.





L’anima mia 

guerriero sconfitto,

schiantato, disteso fra la polvere,

immobile, solo, nel silenzio.

Il corpo insanguinato 

come ultimo suo dono al Cielo.


Crescerà un fiore dalla sua vita strappata
un fiore dalla terra fecondata di sangue.


fonte immagini: dal web (spero solo per questa volta, non avevo foto di melograni)

link di approfondimento:
https://en.wikipedia.org/wiki/Agdistis


2 commenti:

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