domenica 5 febbraio 2017

Storia di una donna: ragione, sesso, amore

È un flash, carico di immagini, un brevissimo racconto erotico, che vuol far riflettere sull'irrazionalità d’una donna innamorata. Lei, l’uomo che ama da sempre e un amico, portato nella camera della donna per sfida.  Il prequel potrebbe essere: tu non hai il coraggio di scopare a tre. Sentiamo e vediamo oscenità, volutamente caricate per far da contro-altare ai pensieri della donna, che nello squallore della vicenda crede di essere spinta da un amore sovrumano, che la costringe a comportarsi così. I dialoghi sono segnati dai soliti trattini, i pensieri di lei marcati dalle virgolette.



Sabato, pensieri e parole (ovvero l'irrazionalità del sesso)

Eravate lì, tutti e due, nella mia camera, l’amante di sempre, e il tuo amico fidato, con cui giocare. Il disordine della casa a malapena celato dal letto rifatto in fretta, vi avevo dormito la notte prima con il bravo ragazzo innamorato. Quella camera, piena di polvere e bollette da pagare, di orrendi orecchini rotti.
Ti sei spogliato come sempre hai fatto, da padrone di casa, aprendoti a malapena i pantaloni, e forse poggiando la giacca sulla sedia nell’angolo.
Lui, l’altro, è rimasto in piedi sulla porta, con la sua faccia bonaria e simpatica.
Sono stata io ad iniziare.
Ma non vedevo nulla.

Click nella testa: “Finché ero una brava ragazza, non mi hai nemmeno guardato. Ora sei qui. Cosa credi, che non possa giocare al tuo gioco? Pazzo.”

E intanto le mie labbra assaggiavano il collo dell’altro, la sua pelle. Sapeva di buono.

“Guardami. È per te. Io sono come te. Non mi fai paura.”

Immagini confuse di tre corpi che si avvicinano, sfiorandosi. Dita che entrano in me. Leccare. Succhiare. Tu in piedi, come sempre, ai margini del letto, ai margini della mia vita. I pantaloni appena calati. Lui dietro di me. Già in me. Nella fica. Nel culo. Il piacere, sempre uguale a se stesso.

“Lui si è spogliato. È sul mio letto. Tu mi tocchi appena.”

Il tuo corpo inerme, arreso allo squallore dei miei movimenti.

“Non ti piace più questo gioco? Che ti prende?”

Nessuna reazione alla mia lingua, alle mie labbra.

“Le medicine. Stai di nuovo male? Fermati tu, lì dietro. Devo pensare a lui. Fermati.”

E la tua voce:
-Mettiglielo in culo. Le piace.
-Già fatto. Ho già fatto.
-Già?
E tu, nemmeno abbiamo iniziato.
-Tesoro non sei più brava come un tempo.
-Io?
-Su, impegnati. Non ti stai impegnando.
-Tu non hai voglia di me. Non ti piaccio più.

“Dio mio, fa’ che sia la gelosia, la rabbia, lo schifo di vedermi così, di sapere che mi sono fatta scopare così.”

-Ho scopato ieri sera. Ho sburrato due volte. Adesso sto scarico.
-Stronzo, con chi hai scopato?
Noi due sdraiati sul letto, le sue mani che ancora mi cercavano. Voleva entrare ancora, nella fica, dopo il culo.

“No, bello, prima in bocca. Se non ti lavi tu, ti lavo io, con la lingua.”

-Chi è?

“Dio, ti prego, fa’ che non vada con lui solo per soldi. Che gli voglia un po’ di bene. Che non gli faccia del male. Cristo, la ucciderei se gli torcesse un solo capello. Devo sapere chi è.”

E rabbia, rabbia. Non poterti proteggere da te stesso. Non sapere.
-Guarda, te la faccio vedere. Guarda quanto è bella.
Foto sul blackberry. Biancheria nera, una fica, un culo. Buchi da riempire. Non ho visto nulla, né la data, né se riconoscevo il posto. Potevano essere di ieri sera, come di anni fa’.
-Questa non sei tu, no?
Potevo anche essere io, e non ricordare.
-Perché? Lo sapevi che stamattina saresti venuto da me. Perché te la sei scopata?
-Amore mio, e che ne sapevo che facevo in tempo a venire qui? Hai visto l’altra sera?
-Stronzo. Non sono l’amore tuo.
Eri in piedi, a fianco del letto. Io stavo ancora giocando con lui. Un lampo rosso davanti ai miei occhi. La mia mano. Uno schiaffo sul tuo viso.

“Oh Dio. Le gengive. Non avrei dovuto. No. Sulle gengive no.”

Altre mani sulla mia pelle, che mi chiamavano. Dovevo finire ciò che avevo cominciato.
-Tesoro, io scopo sempre a due, a tre. Ce ne ho sempre più di una.

“ Basta. Non voglio sentirlo. No. Devo sentirlo. Devo accettare la verità. Amare, conoscendo.”

Pugni sul tuo petto. E le tue mani, grandi, forti, calde, che mi stringono i polsi, mi bloccano, mi respingono sul corpo di lui.
-Ehi, le fai male. Smettila.
E i nostri occhi che si incontrano. Sorriso beffardo sul tuo volto.

“Su, fallo. Picchiami. Perché tanto già mi hai ucciso. Cos’altro puoi farmi?”

-Non ti preoccupare. È forte. Guarda. Le piace.
Schiaffo sul mio viso. Le tue mani. Non avevo ricevuto che carezze, dalle tue mani.
Guardi il mio corpo, livido sul collo.
-Che cos’è? Chi te lo ha fatto?
-E’ un succhiotto, il mio fidanzato.
-E come si è permesso?
-Ah, sì, appartengo a te, eh? Ma vaffanculo. Lo sai perché c’è lui.

“Cristo Santo. Ma allora, fermami. Dimmelo. Adesso. Fa’ finire questa cosa. Lo so pure io che appartengo a te. Dio. Lo sai perché lo sto facendo? Volevo portarti in Paradiso con me, io e te. Volevo rendere meravigliosa la tua vita. E tu hai fatto il nobile. E allora, se vuoi stare all’inferno, mi tocca scendere a prenderti. Io non ho paura. Ti sento più vicino ora, mentre scopo con l’amico tuo, ora che mi hai detto la verità sulle altre donne, se è la verità. Ti sento mio, adesso, come mai ti ho sentito.”

E allora mi giro. Salgo su quel corpo sdraiato che ancora desidera, vuole, che è estraneo ai miei pensieri.

“Hai voluto che lo facessi. Eccomi. Guarda. Guardami, almeno.”

E foto. Ancora foto. Di me. Ora. Su lui.
-Ma che cazzo ci devi fa’, co’ ‘ste foto?
-Guarda come le piace scopare. Oh, ha scopato stanotte quattro volte, guarda che troia che è.

“E allora, tesoro, se devo recitare per farmi sentire da te, eccotela la tua puttana. Eccola qui. Guarda come te lo scopo.”

-Mi stai a far venire un’altra volta.
-Non fare  lo stronzo. Non mi venire dentro.

“Questo è per te.”

-Lo sai che ha detto? Che non ci sarei riuscita. Guardami, cazzo. Chi è che non ci riesce? Io o te? Chi è che ha paura? Piccolina, ce la fai con due cazzi? Hai fatto solo chiacchiere.
-Stronza. Io l’ho sempre fatto. Mi fa male il dente. Guarda. Mi posso prendere un OKI?
-Prendi quello che vuoi, sei a casa tua, lo sai.
Mi giro a guardarti, dietro di me, di noi, che ancora siamo qui. Stai sfilando la cinta dai pantaloni, con calcolata rabbia.
Frustata su me.
-Fallo. Fallo sul serio. Stai giocando? Dov’è finita tutta la tua forza?

“Picchiami. Di’ che non vuoi, che mi odi, per quello che sto facendo. Impediscimelo.”

Ci lasci finire, gironzolando per casa.
Non ricordo nulla, tranne quattro chiacchiere intorno ad un tavolo. Il mio corpo semplicemente nudo, davanti ad un estraneo. Non ho mai saputo cosa sia il pudore. I tuoi passi nervosi. La foto di papà, il tuo sguardo su quella foto. Le foto di oggi, cancellate. Le cattiverie, dette a te, sperando che reagissi. Il dolore. Il sangue di poi. I miei pensieri che vagavano su te. Come avrei saputo amare un altro schiaffo geloso, un insulto, una lite. E invece guardavo i tuoi scatti da animale selvaggio, intrappolato in gabbia. Speravo…

“Dio, se non è amore, se non è stato per amore, per cosa allora?”


Lunedì, solo pensieri d'amore


Da sabato sera ho di nuovo il ciclo, sballato per la rabbia che mi hai fatto venire. A parte il bravo ragazzo che mi stai costringendo a sposare, che è dovere, non c’è nessuno.  Punto. Tutto il resto, sono solo chiacchiere. Volevo ferirti. Le cose ti scivolano addosso, ma non scivolano addosso a me. 

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